Senza fine

Un uomo per una strada di notte che cammina, lentamente pensando chissa’ cosa, chissa’ perché. Assorto; nei propri pensieri.
Cammina... Cammina…

A casa!

La donna era lì e lo attendeva: aveva impegnata l’attesa ascoltando musica, Orff; Carmina Burana: era una musica penetrante, armonica e leggera nel comtempo. Suscitava ad ogni passaggio emozioni diverse con il suo continuo cambio di ritmi e di accordi: entrava dentro nel corpo ed il corpo iniziava a riempirsi di quella musica, vivere di lei e in lei quasi sembrava sciogliersi, dissolversi.
La musica era terminata e la donna ancora rieccheggiava le squillanti note dei triangoli ed i cupi toni dei tamburi con sussulti del proprio corpo: ora rapidi e decisi ora lenti ed ampi...

Si erano incontrati,visti; la metro con il caldo dei corpi sudati e maleodoranti di una mattina già calda e già stanca di luglio. Era una come tante, anzi no: qualcosa avevo attirato l’attenzione dell’uomo. Uno sguardo perso in pensieri lontani, in pensieri pesanti che la preoccupavano. Ma pensieri, una donna con sé stessa e null’altro; ma una donna e non una delle tante marionette che affollavano la metro in quei giorni in quegli anni, in quei secoli di noia e nulla assoluto che riempivano la sua vita. Lo sguardo era corso al suo sguardo e lei se ne era sentita un po’ imbarazzata e un po’ lusingata; subito dopo lei aveva ripreso a guardare tra i suoi pensieri se forse mai qualcuno di essi potesse distrarla meglio e più a lungo da quegli occhi. Fare finta di non accorgersi, ma aver piacere in fondo ed esserne fin troppo consapevole: desiderarlo. Desiderare che qualcuno la guardasse, che la vedesse ancor prima, e la guardasse poi, come essere umano, come donna e non come se fosse un manichino depositato li quel giorno su quel sedile di quel vagone di metropolitana, piuttosto che sulla sedia di un bar-cafe’ chissà dove.

All’uomo piaceva guardarla e perdersi in quello sguardo, un po’ melanconico e perso, di lei. Una donna piccola in un mondo di giganti: persa, tra i quali non sapeva come muoversi, dove andare. Ma era una donna, e in un modo oscuro, incompresibile a chiunque, ma ben intenso da quell’uomo, lei aveva dato il permesso di entrare, per un attimo, un attimo solo tra i sentieri della sua mente che portavano lontano; dove nemmeno lei sapeva.

Si erano avvicinati l’uno all’altro, un po’ solo per far finta di evitare l’alito troppo caldo e umido di un grassone o forse lo sguardo invadente di una donna ormai sfiorita negli anni e nei sentimenti ed affetti. Ma poi lui aveva avuto timore e si era ritirato. Indietro, tornare indietro per un improvviso ostacolo comparso dinanzi: un invisibile passeggero che gli impediva di avanzare e che anzi premeva per potersi fare spazio tra la folla dei corpi di quell’umido giorno di metro. Ma poi un po’ alla volta i fantasmi erano scomparsi e le marionette andate a disporsi in buon ordine nelle proprie comode scatole; il vagone della metro era rimasto solo spettatore involontario, ed impossibilitato ad essere diversamente, dell’amplesso interrotto per paure ancestrali che avevano colto l’uomo.

La donna aveva atteso e, delusa, si era riaggomitolata nei suoi pensieri che tenevano impegnata la mente. Ma poi qualcosa, forse qualcosa che l’uomo aveva fatto e di cui nemmeno adesso, che lei gli si era seduta accanto, si rendeva conto. Ma era bastato, a dar fiducia o forse speranza di potersi fidare di quello sconosciuto.

Si era seduta e lui le aveva sorriso: lei aveva iniziato a guardarlo lievemente negli occhi. Uno sguardo indecifrabile, esotico e straniero; lui fantasticava quella donna che non conosceva, nei suoi pensieri eoni di tempo trascorrevano e lo vedevano abbracciato a lei, avvinghiato al suo corpo in un abbraccio che scioglieva carne nella carne; si amavano ed amavano ancora, come un sogno. .

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